Chi crede in me non avrà sete – Diciottesima domenica del tempo ordinario – anno B

“Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!” (Gv 6,35).

“Quanta acqua beve al giorno?” è una delle domande che il medico fa a pazienti di ogni età e, di solito, mette a nudo che beviamo troppo poco. Altre volte, poi, la domanda va anche sul cibo, sull’alimentazione e, in genere, lì ci accorgiamo che mangiamo troppo o, comunque, in modo non equilibrato.
Queste stesse domande, centrali per il nostro benessere, le possiamo porre anche a livello spirituale. Sappiamo riconoscere la nostra sete? Sappiamo ascoltare la nostra arsura? Riusciamo a prenderci cura della nostra anima disidratata? Così con il cibo. Sappiamo ascoltare la nostra vera fame? Sappiamo decifrare la fame vera da ciò che, invece, è “fame nervosa”? La sete e la fame fanno parte della nostra umanità: non sono aspetti secondari, ma centrali, questioni di vita o di morte. Ma com’è vero che, talvolta, non ci prendiamo cura in modo sano e saggio del nostro corpo, altrettanto ci capita per la vita spirituale. A volte ci imponiamo di stare senza bere e senza mangiare, altre volte ci ingozziamo di bevande inutili o dannose, di quantità esagerate di cibo, magari poco sano.

Anche il Signore conosce la sete e la fame: uomo come noi ha sperimentato il desiderio di acqua e di pane e ne ha vissuto il valore profondamente spirituale, tanto da stare volentieri a tavola con gli altri, soprattutto gli ultimi, e scegliere il pasto come segno stabile del suo amore e della sua presenza tra noi. Egli conosce anche la sete e la fame che abitano nel profondo del nostro cuore, nella parte più profonda di noi, dove egli stesso è venuto ad abitare con il Battesimo: sono sete e fame di vita, di cielo, di comunione con Dio, di senso per il futuro, di compimento. Egli sa bene che desideriamo la sua acqua e il suo cibo, ma conosce anche le nostre resistenze e paure e non manca occasione per smascherarle e darci la sua grazia, cosicché possiamo scegliere la vita vera. Come Israele, anche noi preferiamo bere e mangiare in abbondanza da schiavi, piuttosto che bere e mangiare quanto possiamo, ma da persone libere e in cammino. Come per i suoi contemporanei, sa bene che tante volte pensiamo solo alla fame e alla sete della pancia, che ci sfamiamo di mediocrità e ci dissetiamo di peccati, piuttosto che cercare risposte per la vita. Se vogliamo spegnere la nostra sete e la nostra fame è di Dio che abbiamo bisogno. Il cibo e l’acqua necessari non vengono dalla terra, ma dal cielo: non Mosé ha dato il cibo al popolo nel deserto, ma il Padre e Gesù stesso è il cibo che lui ci offre.

Ascoltando la nostra sete e la nostra fame noi possiamo giungere a Dio e sperimentare il suo amore per noi. Ascoltare la sete e la fame significa farsi attenti a ciò che ci abita dentro, piuttosto che lasciarsi solo distrarre o procedere ad istinto. Significa, poi, decifrare i sintomi, dare un nome a ciò di cui abbiamo davvero bisogno – i bisogni radicali che stanno oltre quelli più immediati! – e rispondervi in modo sapiente e libero. Sì, libero, perché a volte riusciamo anche a comprendere i nostri bisogni profondi, ma la paura di soffrire per raggiungere la sorgente o la tavola ci fa scegliere al ribasso, ci fa accontentare della “pentola di carne da cui abbiamo attinto in Egitto” (cf. Es 16,3). Se non riusciamo ad ascoltare la nostra sete e fame, facciamoci aiutare: chiediamo luce e forza al Signore nella preghiera sincera e fedele, ma anche sostegno a una guida spirituale, un adulto nella fede che non abbia paura di starci accanto nelle nostre aridità e mediocrità per farci camminare verso il Signore.

– don Silvano, Casa Sant’Andrea