«Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21).
Vivere il giorno di Pentecoste e riconoscerlo come esperienza significativa e importante per noi e per il mondo è un dono della Pentecoste stessa, un dono dello Spirito. Se celebriamo questo giorno, se siamo contenti per questo mistero e lo facciamo diventare motivo di lode al Signore è perché siamo “sotto l’azione dello Spirito” come ci dice l’apostolo Paolo nella seconda lettura di questa festa (1Cor 12,3). Ci troviamo ad ascoltare la Parola di Dio, a celebrare insieme l’Eucaristia, a condividere la gioia della fede, a sentire il desiderio del Signore e il coraggio di vivere con lui le nostre giornate e scelte, anche di vita, non perché noi abbiamo fatto delle scoperte personali e capito come vanno davvero le cose, ma perché lo Spirito è in noi e agisce, aprendoci gli occhi sulla bellezza del vangelo, donandoci di scoprirci amati personalmente dal Signore, regalando a ciascuno doni e capacità per rendere bello e vivo il suo corpo, mettendoci in cammino con fiducia nel mondo, certi di essere custoditi dal maligno e di poter dire a tutti “Gesù è il Signore”.
Renderci conto di questa presenza dello Spirito in noi potrebbe farci dispiacere, quasi non fossimo padroni di noi stessi, della nostra intelligenza, del nostro cuore, della nostra intelligenza, in fin dei conti della nostra libertà. Ma è proprio lo Spirito che ci apre le porte della vera libertà facendoci vedere la verità di noi stessi e delle cose, degli altri e di Dio. Lo Spirito brucia le scorie che impediscono di vedere la realtà, soffia via la nebbia che non ci permette di vedere e noi ci rendiamo pienamente conto che il Signore è la realtà più bella della vita e vivere il vangelo è la gioia più grande che ci è data. Lasciare agire in noi lo Spirito del Signore è, perciò, la libertà più grande che possiamo prenderci.
Affidiamoci allo Spirito di Dio, a questa presenza discreta che abita in noi sin dal battesimo disponibile ad essere chiamata in causa e valorizzata: viviamo con lui ogni scelta, lasciandoci guidare dalla sapienza del Signore piuttosto che dal nostro semplice buon senso e dai nostri vecchi e rigidi schemi. Apriamoci alla creatività del Signore che ci chiama ad essere oggi la sua pace nel mondo, il suo perdono per ogni colpa, per ogni ferita d’amore. Lasciamoci coinvolgere dalla fede e dalla Chiesa, seppure segnati come tutti dalla fragilità.
Alcuni tratti dell’esperienza dei discepoli a Pentecoste sono molto vicini alla nostra in questo tempo. I giorni pasquali hanno scosso profondamente gli apostoli e uno dei segni più evidenti è che non li vediamo più per le strade come erano soliti fare con Gesù, ma chiusi in casa tra di loro. Il vangelo ci dice che la sera di Pasqua sono stati raggiunti da Gesù “mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano per timore dei Giudei” (Gv 20,19) e il libro degli Atti ce li fa incontrare “tutti insieme nello stesso luogo” (At 2,1). Come noi in questi mesi di emergenza Covid-19 e ancora in parte in questo tempo di Fase 2, anche i discepoli rimangono al chiuso impauriti. La Pentecoste, però, rovescia la situazione e subito dopo la venuta dello Spirito vediamo Pietro e gli altri parlare con altre persone, tante, e tutta gente proveniente da luoghi diversi e di lingue diverse. Lo Spirito li apre all’incontro e, come già conosciamo, all’annuncio, all’universalità, al cammino per annunciare il vangelo.
Sappiamo bene che la Pentecoste oggi non toglie con un colpo di spugna gli inconvenienti del Coronavirus e neppure ci chiama a fare come se non ci fossero delle regole da rispettare o delle attenzioni da osservare per la salute di tutti. Riconosciamo, però, che lo Spirito ha la pretesa di entrare in noi e di rinnovare il cuore, aprendolo alla fiducia, invitandoci a scommettere ancora sull’incontro con gli altri, sulla comunità, affrontando con sapienza le paure che il virus e certi modi di trattarlo hanno messo dentro di noi. Lo Spirito ci chiama ad abbattere i sospetti reciproci, la paura della presenza degli sconosciuti, degli emarginati, dei più deboli e ad aprire ponti di relazione e disponibilità alla comunione. Forse ci sono dei modi migliori con cui vivere questo tempo, dei modi non dettati dall’istinto, dal solo ottimismo o dalla sola precauzione. Siamo chiamati a percorrere le vie della carità, della relazione sincera, dell’attenzione a chi non ce la fa da solo, ma anche della creatività per il futuro e per questo a verificare se il nostro stile di vita, lo stile con cui facciamo famiglia e comunità non possa cambiare, convertirsi di più al Signore, imparando anche dal buono che abbiamo sperimentato in questi mesi.
Un’immagine può aiutarci a tenere desta in noi questa chiamata a un nuovo inizio: l’affresco della Pentecoste di Giotto nella cappella degli Scrovegni a Padova. Una pittura molto classica, seppure innovativa agli inizi del ‘300, ma soprattutto una scena che mette in evidenza l’apertura cui lo spirito chiama i dodici. Tutto avviene in una stanza, ma una stanza aperta, una loggia che lascia intravedere cosa accade all’interno e permette allo sguardo di Pietro – il personaggio sulla sinistra rivolto verso l’osservatore – di guardare “agli agnelli e alle pecore” (cfr Gv 21,15-19) che il Signore gli ha affidato a Pasqua lungo le rive del Lago e verso cui uscirà subito dopo per condividere con entusiasmo la gioia della fede.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea