“Non dimenticare il Signore che ti ha nutrito” (Dt 8,14.16).
Tante persone che hanno vissuto e vivono il dramma del Covid-19, oltre al dramma della morte hanno vissuto un lutto nel lutto: penso all’impossibilità per molti di loro di ricevere un saluto, una carezza, un bacio prima di chiudere gli occhi alla vita, come pure a diverse persone che ci hanno raccontato del poco che sono riuscite a fare per i loro cari nell’infuriare di questa malattia e dei congedi forzati dal momento in cui entravano in terapia intensiva. Come possiamo dimenticare gli sguardi degli ammalati mentre guardavano i loro cari al cellulare o al tablet e arrivati a noi attraverso i social o la tv?
Se guardiamo da un punto di vista diverso questa triste esperienza, riconosciamo però come il poco possa avere uno straordinario valore. Se per tanti ammalati soli ci fosse stato quell’ultimo saluto avrebbe forse aperto uno spazio di riconciliazione in più con la vita. Una tenerezza donata avrebbe portato luce e calore dentro a una stanza sterilizzata ma spoglia e riempita di vita solo grazie a qualche sguardo incoraggiante di medici e infermieri o al consegnarsi interiore nelle mani di Dio. Il poco amore è un peccato, ma il poco donato con autentico amore è dono autentico perché non si impone e non porta via lo spazio della libertà dell’altro: il poco nell’amore è “molto” per chi lo riceva e per chi lo dona.
Sono questi i tratti anche dell’amore di Dio che si è rivelato lungo la storia e che in questa domenica celebriamo nel dono del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo. Dio si è rivelato, ha manifestato la sua forza, ma non si è mai sostituito alla libertà di Israele. Ha dato loro i segni della sua fedeltà, la manna e l’acqua, cose semplici e non di chissà quale evidenza, che facevano addirittura brontolare gli ebrei stanchi di ricevere sempre le stesse cose, ma doni fedeli per il cammino del suo popolo. Ha inviato i profeti, ma uomini dalla voce fragile che i potenti potevano schiacciare. Ha inviato il Figlio che si è fatto uno di noi, ha vissuto 33 anni (pochi!?), ha abitato in un luogo poco importante della terra – una piccola regione – ha camminato per un territorio povero percorrendo alcune centinaia di Km, ha incontrato tanti poveri ma non tutti i poveri del suo tempo, ha guarito alcuni ammalati ma non tutti i malati del suo tempo, ha perdonato e salvato alcuni peccatori ma non ha raggiunto personalmente tutti. Dentro questi segni, però, scopriamo la fedeltà di Dio e la sua promessa di salvezza per tutti, gli stessi doni che continua a fare a noi, che ci ha consegnato nell’ultima cena e che si rinnovano nel pane e nel vino ogni qualvolta facciamo memoria di lui nel modo che ci ha insegnato. In quel pane e quel vino c’è il dono di tutta la vita del Signore: ai nostri occhi sono poca cosa e le norme di questo periodo sembrano rendere ancora meno evidente la bellezza di questi doni, ma dentro portano tutto l’amore di Cristo, un amore fedele e necessario, che non si impone e lascia ancora spazio per la fame, la fame di vivere come lui.
Abbiamo fame di amore e di amare: se ci ascoltiamo in verità, avvertiamo che la nostra vita diventa ricca quando doniamo cura, attenzione, servizio, quando incontriamo l’altro e la nostra presenza lo rende migliore, come prue quando quando l’altro non si dimentica di noi. Siamo consapevoli che il pane dell’amore che riusciamo a spezzare è davvero poca cosa rispetto alla fame del cuore: è un pane leggero che sembra avere poca sostanza, poco peso, poca forza rispetto alle esigenze del mondo, come la manna per il popolo in cammino. Uno sguardo di fede, però, illuminato dalla sapienza della storia della Salvezza ci fa comprendere che la pochezza è anche una delle caratteristiche dei doni di Dio e di quel pane e quel vino che il Signore ci offre nell’Eucaristia e che per questo ha un valore immenso. È con questo sguardo che possiamo vivere la Messa domenicale e l’incontro con gli altri. La fame di Eucaristia e di comunità che la rinuncia forzata ha fatto emergere negli ultimi mesi, può diventare incontro più autentico: il partecipare all’unico pane può rinnovare lo sguardo sull’amore di Dio per noi e sull’amore che siamo chiamati a vivere. Dio sceglie la pochezza e anche noi la possiamo scegliere, ma mettendoci dentro tutto l’amore che siamo.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea