“Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa” (1Pt 3,9).
Da due domeniche stiamo vivendo il tempo di Avvento e celebrando il venire del Signore tra noi. Come in altre occasioni la Chiesa ci educa a riconoscerlo dentro la vita di ogni giorno ma anche a vivere con fede fino al suo ritorno. Non va da sé tuttavia che quanto celebriamo trovi corrispondenza nei nostri sentimenti, nei nostri pensieri, nel nostro vissuto quotidiano, tanto più in questo periodo carico di incertezza e insicurezza. Davvero viene il Signore? Davvero è interessato a noi, si preoccupa dell’umanità? Cosa avrebbero da rispondere a queste domande le tante persone che vivono nella malattia, nella miseria, nell’ingiustizia e nella guerra o sperimentano la solitudine e l’abbandono?
La Parola di questa domenica viene a dare spessore al tempo di Avvento intrecciando profondamente la prima lettura e il Vangelo. Isaia si fa voce presso il popolo deportato e schiavo a Babilonia della consolazione del Signore: egli sta per liberare e riportare a casa lungo una via larga e spaziosa tutti i suoi figli. Chiede che si faccia spazio tra le colline, i monti e le valli per far passare il suo popolo e il profeta già ci porta dentro questo viaggio di speranza, facendoci incontrare lungo il percorso le sentinelle che avvisano passo passo dell’avvicinarsi a Gerusalemme. Il Vangelo poi ci fa ascoltare un’altra voce che grida un arrivo ormai imminente: Giovanni Battista, come una sentinella lungo il percorso che va verso Gerusalemme ci annuncia l’arrivo del Signore Gesù che, di lì a poco, verrà allo scoperto camminando insieme a una folla di gente semplice e povera verso la città santa. Sono testi carichi di speranza, Parola che viene ad annunciare un futuro di bene, la presenza del Signore accanto a tutti, in particolare a coloro che fanno fatica in questo mondo. Ma ci basta per trovare consolazione, per non lasciarci andare allo smarrimento? Queste parole sono autorevoli per la nostra debole fede?
Le nostre domande forse possono accogliere la forza di questo tempo e di questa Parola se fanno posto ad un’altra esperienza. L’immagine che il Battista ha del Signore che viene è quella di uno più forte di lui, dinanzi al quale non può neppure chinarsi per slegargli i sandali, uno che battezzerà in spirito con il “vento santo” (Mc 1,7-8). Ma noi che già conosciamo il seguito, sappiamo che il Signore sarà ben diverso: forte, ma nella compassione e tenerezza; Dio ma umile, semplice, povero; donerà lo Spirito ma come presenza mite che lavora il cuore di chi gliene lascia il permesso. Forse sta qui gran parte della nostra fatica a riconoscere la fedeltà del Signore alle sue promesse. Forse sta qui la fatica di vivere con speranza questo tempo e di permettere a Dio di consolarci nel profondo. Come il Battista probabilmente stiamo aspettando un Messia diverso da quello che realmente sta venendo tra noi. La Parola di Dio e la liturgia di questo tempo gridano come una sentinella il suo arrivo ma noi fatichiamo a riconoscerlo perché attendiamo un Messia forte, evidente, potente, capace di spazzare via con un soffio ciò che ci opprime, dal Covid a tutto ciò che appesantisce il cuore e l’umanità. Forse abbiamo bisogno di correggere le nostre immagini di Dio per poterlo riconoscere e aprirci alla sua presenza che viene.
“Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza” (1Pt 3,9) ci ricorda Pietro nella seconda lettura. Ma i nostri occhi potrebbero non accorgersi di lui semplicemente perché in cerca di uno diverso, di un volto diverso da quello del Signore che viene. Lasciamo che questo tempo ci tolga le inutili certezze che abbiamo sulla vita e su Dio: apriamoci al Dio narrato nei Vangeli e nella Bibbia; apriamoci a un Dio capace di sorprendere. Sicuramente il Signore che viene è diverso da come ce lo aspettiamo ma certamente migliore di ogni immagine che nel tempo possiamo esserci fatti di lui.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea