“Lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5,11)
Dinanzi a delle pagine dense e coinvolgenti come quelle di questa domenica non è semplice orientarsi: ci sentiamo afferrati da più parti, così dinanzi alla sola pagina del Vangelo.
Il centro del Vangelo mi sembra sia nell’ultima frase: “Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5,11). Al cuore della pagina c’è la parola del Signore che chiama a seguirlo e non il fatto straordinario della pesca miracolosa, per quando sia coinvolgente. Ciò che interessa al Signore è che quanto lo hanno incontrato diventino suoi discepoli, che Pietro e gli altri lo seguano. E questa è quanto gli sta a cuore anche oggi: che noi lo seguiamo. Colpisce, allora, l’inciso conclusivo: “lasciarono tutto e lo seguirono”. Seguire Gesù significa riconoscere che in lui si trova tutto ciò che ci è necessario. Il discepolo – non solo gli apostoli – è colui che lascia tutto per il Signore, certo di trovare insieme a lui anche tutto ciò che gli è necessario per vivere, ciò che riempie la sua esistenza. Ed è questa anche la chiamata che rivolge a noi in questo tempo, dentro alla vita di oggi. Nel chiederci di lasciare tutto non c’è alcun disprezzo per la vita, per il lavoro, per le relazioni, per il mondo bensì il desiderio di preferire lui a tutto il resto, nella fiducia che egli è la vita. Seguire Gesù chiede una sana indifferenza del cuore che lasci sullo sfondo, come nello scenario di una foto o di un quadro, ciò che viene dopo di lui o che appartiene al passato. E tra le cose da lasciare vi è anche il successo della pesca miracolosa e con essa certi successi di altri tempi o le abitudini che a volte scambiamo con la fede nel Signore: seguire Gesù non è avere a che fare con delle cose che fanno riferimento a lui ma con lui, con la sua persona. Il centro è in Gesù a cui, viste le sue opere, possiamo dare piena fiducia: se lo accoglieremo nella barca della nostra vita la pesca sarà abbondante, anche quando tutto avrà le apparenze di un controsenso.
Verso l’essenziale ci porta anche la seconda lettura, quasi un testamento che Paolo lascia ai cristiani di Corinto e a noi. Lungo 2000 anni di storia cristiana abbiamo approfondito tanti aspetti di teologia, siamo entrati in moltissime pieghe della fede, sino a professare un testo piuttosto articolato del Credo e scrivere tantissimi libri su Cristo, la Trinità, la Chiesa, i Sacramenti… Lui però ci riporta all’essenziale dell’annuncio cristiano, Gesù Cristo che “morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta” (1Cor 15,3-6). Il centro della fede è qui: Gesù è il Signore, il Figlio che ci rivela il volto di Dio, colui che è “tre volte Santo” (Is 6,3), santissimo, è nostro Padre. Nell’ascoltare questa parola disarmante sentiamo tutta la fragilità della nostra fede, la tiepidezza con cui talvolta viviamo la preghiera e la Messa domenicale, il poco slancio che avvertiamo nel fare comunità e nel parlare di lui con le parole ma soprattutto con la vita. Ed ecco che, sebbene con trepidazione, gli chiediamo oggi di venire a toccare le nostre labbra con i carboni ardenti della sua presenza forte e tenera, che orienta, dona fiducia e incoraggia a credere e a seguirlo. Gli chiediamo di avvicinarsi ancora una volta e toccarci con la sua parola per ricordarci quanto ha fatto nella storia, quante pesche miracolose ha permesso alla sua Chiesa e a noi quando lo abbiamo portato nella nostra barca, quanto interesse gratuito e carico di amore ha per ciascuno e per tutti noi.
Dalla parola di questa domenica nasce una comunità nuova di uomini che lasciano il proprio lavoro, la propria famiglia, la propria casa, la propria comunità di origine e si mettono in cammino sui passi di Gesù. Fino a prima c’erano delle persone appartenenti a una famiglia, a una borgata: ora c’è un gruppo nuovo che insieme a Gesù si mette in cammino, si mette sulla strada. Proprio in questo lasciare e andare troviamo la chiamata che il Signore rivolge a noi, ai giovani, alle nostre comunità. “Oltre allo studio, ad Arianna non è rimasto quasi niente che la porti fuori. Fuori da sé, fuori di casa, fuori dalla relazione di accudimento che la lega al padre” leggevo su un articolo riguardante gli adolescenti in questo periodo e altri potrebbero sostituire la parola “studio” con “lavoro”, “spesa”, “medico”,… Oggi, invece, siamo tutti interpellati a sostituirla radicalmente con la parola “Gesù”, una parola che non è un’idea, una tradizione, una pratica ma una persona viva che ci chiama a stare con lui e con lui entrare nel mondo, come comunità nuova che vive il segreto della vita: il Signore.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea