«Che cosa cercate?» – II domenica del tempo ordinario, anno B

«Che cosa cercate?» (Gv 1,38).

Le prime parole pronunciate da Gesù nel Vangelo secondo Giovanni non sono una presentazione di sé o un annuncio ma una domanda che va dritta al cuore di alcuni giovani che da poco hanno lasciato il Battista lungo il Giordano per seguire Gesù: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). Va dritta al cuore questa parola. Ha un significato molto pratico, di richiesta di un’informazione ma allo stesso tempo va in profondità, ponendo un interrogativo di senso. Ed era questo ciò di cui avevano bisogno Andrea e gli altri che camminavano dietro a Gesù. A loro interessa «l’agnello di Dio» (Gv 1,36), colui che può dare loro la vita, che può salvarli dalla morte interiore e fisica con il suo sangue così come sono stati salvati dalla morte quegli ebrei che nella notte dell’esodo abitavano dentro alle case segnate dal passaggio dell’angelo (Es 12,12-13).

Come loro anche noi avvertiamo che questa domanda ci interpella. Siamo abitati da un profondo desiderio di felicità, di risposta alla sete di amore, di valorizzazione di quella manciata di doni e di limiti che siamo nella nostra unicità e originalità. Questa fame ci fa muovere e cercare, ci spinge a fare esperienze e incontri, cose serie ma talvolta anche piccoli e grandi colpi di testa, fino a cercare e vivere “per l’impurità” piuttosto che “per il Signore” (cf. 1Cor 6,13). Cerchiamo affetto, attenzioni, riconoscimento, una posizione sociale, un posto di lavoro,… e se abbiamo il coraggio di fermarci, riconosciamo che dentro a questi bisogni ve n’è uno di più profondo che trova pace solo quando arriva all’incontro con il Signore: “Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. (…) Eri con me, e non ero con te. (…) Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace” (Agostino, Confessioni, 10, 27, 38). Sono queste le occasioni in cui “torna la quadra”, in cui la nostra esistenza trova o ritrova senso e pienezza.

Una volta trovata la risposta non è detto che rimanga tale per sempre. Seppure abbiamo trovato il nostro posto, il senso del nostro vivere, seppure sia esplicita la nostra relazione con il Signore ci sono occasioni in cui tutto questo sembra non bastare. Talvolta cerchiamo una vita e una fede perfette, inseguendo il mito dell’essere sempre felici, sempre soddisfatti, sempre in pace. Tutto questo, però, è appunto un mito. Umanamente non ci è dato di sperimentare una felicità sempre a mille: umanamente neppure il nostro rapporto con Dio è al riparo da alti e bassi, da passaggi difficili, da insoddisfazioni, da vere e proprie notti silenziose e buie. C’è come “un pasticcio linguistico”, sottolineava Daniele Mencarelli in un articolo (Avvenire, 15.08.2020) che ha le fattezze di un allarme sociale: “sono infelice perché non riesco ad essere felice”. Questo pasticcio ci inganna e ci fa essere continuamente scontenti e in ricerca di un di più che però non approda né alla serenità e all’impegno né alla comunione con Dio, perché ci allontana da noi stessi. Tutti siamo chiamati a rieducarci “all’infelicità, perché è nella nostra natura sentirci incompleti, smaniosi di un bene che sentiamo esistere, ma che non riusciamo a vivere. È questa la condizione umana. Di ricerca, di interrogativi piantati nel petto, domande rivolte al cielo. La felicità arriverà come lampi meravigliosi lungo il cammino, attimi di gioia da serbare per i momenti più duri, ma non sarà questo il luogo, il mondo, della gioia senza fine” (idem).

Che cosa cerchiamo noi? Cerchiamo o non cerchiamo nulla e nessuno? Se non vogliamo camminare invano è nella relazione che dobbiamo addentarci e in modo tutto particolare nella relazione con il Signore. Come i primi discepoli è l’interessarci a “dove dimora” Gesù che può dare risposta alle nostre domande più vere, alla nostra sete di umana e divina felicità. Stare con lui, abitare con lui, fare strada con lui giorno dopo giorno ci permetterà di scoprire la verità delle cose, di trovare ciò che porta a compimento il nostro cuore, fino a scoprire che la cosa importante da cercare non è la felicità… ma la comunione con lui. Soltanto una volta scoperta e accolta la comunione con il Signore avremo la vita piena.

– don Silvano, Casa Sant’Andrea

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