“Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento” (Mt 3,17)
Come un genitore che presenta il proprio figlio a dei parenti o a degli amici, così oggi Dio ci presenta Gesù: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. È un gesto di sano orgoglio, ma anche di fiducia: si espone alla libertà che suo Figlio venga accolto e amato, ma anche giudicato o rifiutato.
Di fronte a questa presentazione, cosa succede in noi? Potremmo fare posto a un semplice saluto di convenienza per poi continuare a fare le nostre cose. Oppure iniziare a giudicare questo Figlio e anche suo Padre, perché non rispondono ai nostri schemi e alle nostre attese: che ce ne facciamo di un Figlio di Dio semplicemente umano? Che cosa può darci un servo così debole che “Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità” (cf. Is 42,2-3)? Oppure potremmo accoglierlo come un dono, come un regalo e nell’accoglierlo tra le mani stupirci, incuriosirci, entusiasmarci. Ecco la grande possibilità che abbiamo: quella di appassionarci per un dono inedito e gratuito, un Figlio che viene presentato e affidato. Ecco la fede nel Signore Gesù che il Padre ci chiama a vivere: Cristo è un dono del Padre, a cui fare posto con stupore e fiducia.
Il Figlio che ci viene mostrato e affidato è ormai un adulto. Non è un bambino, non è un ragazzo: ha il suo carattere, la sua formazione, la sua identità e ci chiede di entrare in relazione con lui seriamente, accogliendo tutta la sua autorevolezza. Non vuole giocare con la nostra vita, ma rapportarsi con noi in modo sincero, rispettoso, responsabile: ha un suo vissuto interessante, valido, impegnativo da proporci. Questo Figlio ci chiama a una fede adulta, matura, a fare della fede il caso serio della vita, da cui tutto parte e a cui tutto può fare riferimento. Quante volte, invece, banalizziamo la fede o crediamo a quanti dicono che credere è da bambini (come se i bambini non fossero importanti!). Viviamo, piuttosto, il Battesimo di Gesù come l’occasione per un incontro adulto con lui, come un ingresso serio (non serioso) alla vita di fede. Prendiamoci il diritto di approfondire i contenuti della fede, di addentrarci nella Scrittura, di partecipare alla vita della Chiesa, di metterci a servizio con amore e competenza della comunità (nei modi che ci sono possibili).
Gesù ci porta il segreto della vita, l’Amore del Padre e la sua chiamata a vivere da figli, figli amati, figli amati e di cui si compiace. Figli di Dio: portiamo in noi lo stesso DNA di Dio! Amati: gratuitamente amati e non perché facciamo i buoni. Figli amati per i quali Dio prova compiacimento ossia “piacere”, così come siamo, anche con i nostri limiti. Ecco il dono che porta la presenza di Gesù nella nostra vita: la scoperta della nostra dignità, una dignità grande, oltre i meriti, oltre le riuscite, che incoraggia e sostiene, tuttavia, nel vivere al meglio le nostre possibilità.
Sostiamo su questo dono: ritorniamo al nostro Battesimo, meditiamo su questa esperienza che altri hanno scelto per noi, ma che non si è esaurita in quel giorno e Dio rinnova continuamente. Viviamo la nostra dignità di figli e fratelli coltivando la relazione con Dio e con gli altri, attraverso la preghiera e la fraternità, attraverso momenti di intimità con il Signore e di familiarità con gli altri, con quelle concrete persone che fanno parte della comunità in cui viviamo. Diamo spazio all’ascolto del Signore per comprendere come ci chiama a vivere la fede, in che modo ci chiama a servire i fratelli.
Dio Padre non parla molte volte nei testi del NT: soltanto nel Battesimo di Gesù, nella Trasfigurazione sul monte e in un’altra occasione narrata negli Atti degli apostoli. Sono poche occasioni e importantissime. Ascoltiamo la sua voce e apriamoci con fiducia all’incontro con il Figlio che ci ha indicato con fierezza paterna.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea