“Grida, esulta, acclama con tutto il cuore!” (Sof 3,14).
La società in cui viviamo ci chiede di essere tutti molto controllati e composti. Certo, è questione di buone maniere ma anche di un misto tra diffidenze, perbenismi, regole e atteggiamenti che spingono più verso l’individualismo e l’isolamento che non verso la relazione, l’incontro, la sana spontaneità, la comunità.
Dentro a questa rigida compostezza spesso incanaliamo anche la vita spirituale, cercando di controllarla il più possibile, frenando ogni entusiasmo per il Signore e per la fede, limitando il sano contagio di speranza che grazie alla fede ci abita e che potrebbe arrivare anche al cuore degli altri. In tutt’altra direzione sembra andare lo stile del Signore e del suo popolo da quanto ci annuncia il profeta Sofonia. “Rallegrati, grida, esulta, acclama” non sono certo dei verbi che descrivono atteggiamenti misurati ma piuttosto scomposti, immediati, istintivi. Ebbene sì, Dio chiede al suo popolo di lasciarsi andare in grida di gioia. Non solo: egli stesso esulterà con delle grida e urla di gioia, contento del suo popolo! Sofonia annuncia la presenza del Signore in mezzo a Israele e costruisce un dialogo di grida tra il popolo e Dio in cui sembra ci sia una gara di entusiasmo. D’altra parte, la gioia per il ritorno e la comunione ritrovata è davvero grande e Dio non sembra disdegnare questa felicità.
Queste premesse e sottolineature ci incoraggiano a uno stile meno ingessato, anche nella preghiera e nella liturgia ma anzitutto a chiederci se ci siamo accorti della presenza del Signore in mezzo a noi e qual è la temperatura del nostro rapporto con lui. “Viene Colui che è più forte di Giovanni” (cf. Lc 3,16), “Il Signore è vicino” (Fil 4,5), “In mezzo a te è il Santo d’Israele” (Is 12,6), “Re d’Israele è il Signore in mezzo a noi” (cf. Sof 3,15): com’è possibile rimanere fermi, di pietra, dinanzi a questo annuncio? Questa parola è Vangelo potente, ricco, che se entra nel cuore non lo lascia indifferente ma lo rende “lieto e amabile” (Fil 4,4-5), affabile e sereno, fiducioso e spontaneo nella relazione con Dio, ma anche giusto con gli altri. Quale Chiesa siamo ed esprimiamo? “Una Chiesa da funerale” (papa Francesco) oppure gioiosa e grata, umile e solidale con tutti? Che comunità contribuisco a formare con la mia fede e il mio stile?
“Che cosa dobbiamo fare” (Lc 3,10)? La vicinanza del Signore ci chiama a una relazione nuova con gli altri, onesta, dove tralasciamo l’uso della forza e della potenza, dove facciamo posto anche all’impotenza dell’amabilità, del sorriso, della tenerezza, del saluto cordiale, del gratuito interessamento gli uni per gli altri, della gioia per le reciproche vittorie. Ci chiama anche a una relazione nuova con lui, a un’immersone nel suo mistero, a un modo di rapportarsi con lui per niente anestetizzato o impaurito: lasciamoci andare a Dio, rinunciamo a ogni resistenza e permettiamogli di invadere ogni nostro spazio.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea