“Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro” – Quarta domenica del tempo di Avvento, anno C

“Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro” (Eb 10,7).

A pochi giorni dal Natale la liturgia ci parla del sacrificio di Cristo Gesù e di un sacrificio nuovo che abolisce uno vecchio. In un primo momento potrebbe sembrare strano e fuori luogo. Non aveva altri modi per incoraggiarci a vivere le feste ormai vicine? Sebbene questa possa sembrare una riflessione difficile penso valga la pena sostare su di essa. Ne va della nostra esperienza di fede, della nostra vita cristiana, della nostra vocazione.

Quando sentiamo parlare del sacrificio di Cristo probabilmente subito pensiamo alla sua passione e croce: il riferimento dell’autore della Lettera agli ebrei, invece, ci suggerisce di aprire lo sguardo e di riconoscere che tutta la vita di Gesù è stata un sacrificio ma nel senso di un dono, un’offerta di sé, del suo corpo, a Dio e a noi. D’altra parte, sottolinea poco dopo che il desiderio più grande del Figlio di Dio è stato quello di fare la volontà del Padre. Il suo venire nel mondo e tutta la sua esistenza terrena sono stati questo: un vivere per il Padre. Il Natale è questo mistero di dono totale. Fare posto al Natale del Signore significa aprire le braccia e il cuore a una presenza che si offre sempre, da prima di entrare nel mondo fino all’ultimo respiro sulla croce. Questo mistero è stato ben presente nella Chiesa sin dagli inizi e lo vediamo anche nell’arte. Se ci è capitato di imbatterci in un’icona della Natività o in qualche affresco medievale non sarà sfuggito il particolare che il piccolo Gesù è fasciato e adagiato in una mangiatoia che assomiglia a un sepolcro. A chi rappresentava la nascita di Gesù era ben chiara tutta la portata di dono che il Figlio di Dio ha sempre vissuto, durante l’intera esistenza e ancora prima di venire in questo mondo, fino all’esperienza culminante della passione e del sacrificio sulla croce.

Quando l’autore scrive la lettera agli ebrei dinanzi a sé ha un popolo senza Tempio né sinagoghe. Scrive dopo il 70 dC, per cui Gerusalemme è già stata rasa al suolo, ma in ogni caso scrive a credenti cristiani che vivono la preghiera comune in maniera nuova rispetto alla comunità ebraica, soprattutto nelle case, o comunque sono già estromessi dalla liturgia ebraica. Tale contesto diventa l’opportunità per esplicitare la novità della fede cristiana alla comunità che vive il disorientamento e la ricerca di una propria identità. L’inutilità e l’inefficacia dei sacrifici di animali erano già state affermate dai profeti, Isaia, Geremia, Osea, Amos, Michea ma essi non pretendevano di abolire il culto sacrificale: evidenziavano piuttosto la mancanza di sincerità davanti a Dio. Qui, però, l’autore assume una posizione più radicale e annuncia che il sacrificio di Cristo non è meno reale di quelli antichi ma eccezionalmente superiore e definitivo tanto da purificare il cuore degli uomini una volta per tutte e aprirli alla comunione piena con Dio (cf. v. 9,14). Da questo annuncio nasce una profonda novità per la nostra vita che, a distanza di tanti anni dalla Pasqua del Signore, non ancora ha fatto sufficientemente breccia nei nostri cuori. Quante volte viviamo la fede come un sacrificio duro da assolvere, quante altre affidiamo a delle cose o a delle pratiche la nostra dedizione al Signore. La comunione, però, è un incontro tra lui e noi che si espande nel tempo: tutta la nostra persona è chiamata a viverla, in tutta la vita. Questo è anzitutto il nuovo sacrificio, a noi possibile perché Cristo Gesù ha già vissuto il suo.

Non è da poco questa novità dinanzi alle nostre immagini di Dio talvolta distorte o deformate. Essa ci libera dal freddo dovere di rispondere a un Dio pretenzioso per fare posto al Dio di Gesù Cristo, che ama la nostra vita, la nostra persona, la nostra storia e sogna la comunione con noi, un’unità vissuta a partire da dentro, dal cuore. In Cristo siamo chiamati a mettere in gioco con Dio non tanto dei doni ma noi stessi. In questo orizzonte si trova anche la nostra particolare vocazione, quella alla vita e alla fede, e poi quel particolare cammino che Dio desidera con un amore speciale e che ciascuno è chiamato a realizzare. Se tutta la vita di Cristo è stata un dono, tale può essere la nostra e lo sarà nel tempo in cui vivremo con generosità la nostra particolare vocazione ma anche già nel qui e ora, mentre la cerchiamo. Così come siamo, siamo graditi a lui.

– don Silvano, Casa Sant’Andrea