“Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo” (Lc 24,51).
Gli addii sono esperienze impegnative, in genere, seppure per qualcuno più facili da vivere e per altri meno. Per qualcuno sono una disfatta, per altri una boccata di ossigeno, per qualcun altro un dramma e per altri ancora una grande occasione. Sono esperienze che hanno un forte valore simbolico che, anche a partire dalla storia passata, risvegliano i ricordi e le emozioni già vissuti e ci trovano più o meno disponibili.
Anche la relazione con il Signore oggi ci fa sperimentare un addio. Gesù si stacca dai suoi e viene portato su in cielo e d’ora in poi, fino al giorno in cui farà ritorno, non sarà dato più a nessuno su questa terra di poterlo vedere e incontrare come ogni altra persona. Chissà, allora, come viviamo questo distacco. Forse ci trova già abituati all’idea – magari ci abita il pensiero, imparato a catechismo, che lui è salito al cielo e così lo diamo per scontato – oppure fiduciosi e sereni oppure ci mette a disagio, risvegliando in noi qualche paura. Val la pena ascoltare il nostro vissuto e farlo diventare riflessione e preghiera, senza dare per scontata la celebrazione della sua ascesa al cielo: ne va del nostro rapporto con il Signore, della nostra vita quotidiana, della nostra testimonianza cristiana. Un modo o un altro di vivere la sua partenza può determinare un modo o un altro di vivere. Forse parte proprio da qui certa tiepidezza della fede nostra o di altri, come probabilmente parte da qui un eccessivo protagonismo della fede che ci vede talmente testimoni da essere confusi come dei soldati difensori della fede. La salita al cielo di Gesù non è una fuga né un abbandono, ma una consegna del Vangelo alle mani dei discepoli e nostre, accompagnata dal dono dello Spirito Santo. La salita al cielo di Gesù è un grande atto di fiducia nei confronti degli apostoli, della Chiesa e dell’umanità: è il segno che il mondo può andare avanti, che il dono del Vangelo è un seme carico di promessa e di potenzialità.
Come vivere, allora, l’addio di Gesù in questo giorno? Come un grande mandato, un invio. Ogni credente è un inviato a portare il Vangelo al mondo, negli ambienti in cui vive, con la gratitudine di chi l’ha ricevuto e lo sperimenta come libertà. Ogni credente in questa domenica si ritrova coinvolto da Gesù nella grande missione di rendere gravido di amore il mondo. È questo quanto affidato a Giovanni, Marco e Pierclaudio, giovani della nostra Diocesi su cui il vescovo Claudio impone oggi le mani ordinandoli presbiteri, ma anche quanto viene affidato ad ogni altro prete e diacono, ad ogni religiosa e consacrato, ad ogni coppia che vive la gioia dell’amore, ad ogni uomo e donna che si spendono per il bene comune. È questo il mandato affidato ad ogni ragazzo e giovane che guarda al futuro con curiosità e speranza, desideroso di realizzare se stesso e fare del bene agli altri. Realizzare la propria vocazione significa lasciarsi benedire da Gesù e accogliere il suo mandato di andare a predicare il Vangelo e la conversione a tutti i popoli, a partire dal luogo dove viviamo e siamo di casa.
Uno sguardo alla prima lettura offre un punto di vista su come vivere l’ascensione di Gesù e il nostro invio. Luca, dopo aver scritto il Vangelo, mette mano agli Atti degli apostoli in cui racconta quanto accaduto dopo la salita al cielo di Gesù e in questa domenica abbiamo ascoltato proprio gli inizi di questo libro. Come l’inizio di un nuovo libro è carico di emozioni, pensieri, riflessioni, sogni, tanto più se il libro è un racconto ricco di esperienze e coinvolgente, così può essere la celebrazione del mistero di Gesù salito al cielo. Affidiamoci allo Spirito Santo perché ci faccia entrare con gioia nelle pagine che il Signore sta scrivendo anche con noi, scrivendo con la nostra vita e la nostra testimonianza delle righe di Vangelo.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea