“Ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme” (At 1,4).
Separarsi in genere è un’esperienze impegnativa. Per qualcuno i distacchi sono una rovina, per altri una boccata di ossigeno, per altri ancora una grande occasione. Sono esperienze che hanno un forte valore simbolico che, anche a partire dalla storia passata, risvegliano i ricordi e le emozioni già vissuti e ci trovano più o meno disponibili. Anche la relazione con il Signore oggi ci fa sperimentare un addio. Gesù si stacca dai suoi e viene portato su in cielo e d’ora in poi, fino al giorno in cui farà ritorno, non sarà dato più a nessuno su questa terra di poterlo vedere e incontrare come ogni altra persona. Chissà, allora, come viviamo questo distacco. Forse ci trova già abituati all’idea – sappiamo dal catechismo che Gesù è salito al cielo! – o fiduciosi e sereni oppure ci mette a disagio, risvegliando in noi qualche paura. Un modo o un altro di vivere la sua partenza può determinare il nostro modo di vivere. Forse parte proprio da qui certa tiepidezza della fede nostra o di altri, come probabilmente parte da qui un eccessivo protagonismo della fede che ci vede talmente paladini della fede e dei valori ad essa ispirati da essere confusi con dei soldati difensori della fede. Questa celebrazione e questo mistero non vanno dati per scontati: ne va del nostro rapporto con il Signore, della nostra vita quotidiana, della nostra testimonianza cristiana.
Come vivere l’addio di Gesù? Come un grande mandato, un invio, sicuramente ma non senza prima essere tornati a Gerusalemme ossia senza passare oltre la fatica di abitare la sua assenza, lasciandosi il tempo di “elaborare” il lutto del suo distacco e lasciarsi irrobustire dal suo Spirito. Come gli apostoli, anche noi siamo chiamati, prima di dare spazio alla missione, a tornare in città, a fermarci e ascoltare il nostro vissuto e farlo diventare riflessione e preghiera, tempo di lavorio interiore, di irrobustimento della fede e di accoglienza della sua grazia. Viene quanto mai opportuno l’invito a tornare in città anche se pensiamo all’intera esperienza cristiana. Se molte volte i processi decisionali personali ed ecclesiali si perdono in fiumi di parole, altrettanto vero è che in molte altre la riflessione viene tagliata come se fosse più importante andare al sodo delle scelte finali. Il discernimento, però, ha bisogno di un autentico ascolto per sbocciare in scelte buone, guidate dallo Spirito piuttosto che dalle proprie emozioni o ferite. Solo uno sincero, disponibile e fiducioso stare a Gerusalemme permette di testimoniare il Signore con delle scelte mature ed evangeliche.
Il prossimo Sinodo diocesano possa dare il debito spazio e tempo allo stare in città, fino a quando lo Spirito non verrà tra noi, ci darà la sua forza, ci mostrerà la strada e ci dirà che è tempo di andare. Così ogni piccola chiesa domestica, ogni famiglia, ogni realtà dove siamo insieme ci veda regalare tempo all’ascolto e alla sosta per compiere delle scelte che esprimano la nostra risposta ai mandati del Signore, ai suoi invii in questo nostro tempo.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea