“Uno solo è il vostro Maestro” (Mt 23, 10).
Nei discorsi comuni, capita spesso di prendersela con chi ha dei compiti di responsabilità, siano i governanti, i politici oppure i preti, il papa, non ultimi gli adulti in genere. Sembra cavalchi quest’onda, oggi il Signore. Egli rivolge una parola dura per chi ha un compito di guida, per i sacerdoti del Tempio, ma anche per gli scribi, nonché i farisei: li accusa fortemente di “dire” e “non fare”, di aver preso il posto di Mosè tra il popolo, di essersi seduti sulla sua cattedra all’ingresso della sinagoga, mentre essa va lasciata libera a indicare che è un altro il Maestro.
Interpella tutti questa Parola. Ognuno di noi ha un compito di guida o comunque è chiamato a fare propria, in futuro, questa responsabilità: come genitore, come guida di un’impresa, come educatore e insegnante, come politico, come presbitero,… Val la pena, allora, ascoltare questa Parola, farle posto senza paura, senza fare gli orgogliosi.
Essa ci chiama anzitutto a vivere la responsabilità di essere guide, ossia ad assumerci con fiducia il compito di consegnare i doni che anche noi abbiamo ricevuti: la vita, il lavoro, la fede, il Vangelo sono doni ricevuti e da dare ad altri con generosità. Non siamo solo destinatari dell’esperienza della fede, ma anche persone chiamate a condividerla e consegnarla ad atri. Riconosciamo questa chiamata alla responsabilità!
Questo impegno, tuttavia, ci è chiesto di esprimerlo stando al nostro posto, ossia senza sederci sulla cattedra di Mosé, con l’umiltà di chi è semplicemente strumento di un altro, del Signore. Si tratta di compiere bene il nostro impegno, e soltanto quello, con generosità e competenza, anche sapendo fare riferimento ad altri, anzitutto al Signore, unico Maestro di tutti.
Ci è chiesto di consegnare la nostra sapienza di vita, di essere guide delle persone affidate, ma con la vita, prima ancora che con le parole. Quanto ha da dire questo invito al nostro modo di educare, di insegnare a vivere, questa affermazione! Non si tratta tanto di “dare l’esempio” agli altri, ai ragazzi, ai figli, alla comunità: dare l’esempio ha quasi i tratti di un fare le cose per farle capire agli altri, come una recita perché qualcuno impari. Si tratta piuttosto di vivere fino in fondo quello che crediamo vero e buono, di dire con i gesti ai figli e alle persone affidate ciò che è importante per noi. Esprime bene questa novità di stile la seconda lettura: ci parla di Paolo e dei e dei credenti della prima ora come persone che consegnano la propria vita, che amano sino a dare sé stessi, più che le proprie parole.
Non c’è nessuna indicazione già tutta precisa per essere guide umili e autorevoli, se non quello di continuare sempre a rimanere discepoli, a lasciarci anche noi guidare dagli altri e dal Signore. Non siamo mai degli arrivati: sempre la vita ha qualcosa da insegnarci. Non siamo mai dei credenti fino in fondo: sempre abbiamo bisogno della grazia che completi ciò che manca alla nostra fede. Non siamo mai formati, ma sempre in formazione e bisognosi di formazione.
Solo chi si lascia costantemente formare dal Signore, può farsi guida di altri.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea