“Ascoltai colui che mi parlava” – XIV domenica del tempo ordinario, Anno B

“Ascoltai colui che mi parlava” (Ez 2,2)

Dov’è Dio? Cos’ha da dire al mondo, alla Chiesa, a noi in questo tempo? Domande come queste a volte accompagnano le nostre riflessioni, i nostri silenzi, le nostre confidenze e preghiere, provocati dai fatti della vita, dalle vicende tristi e dolorose nostre, di persone vicine o del mondo. La stessa pandemia ha probabilmente smosso in più occasioni questioni come queste. Ed ecco che la parola di Dio di questa domenica viene ad aiutarci a trovare risposta ai nostri interrogativi o almeno ad indirizzarli su una strada capace di farci approdare a una risposta.

Dio parla in diversi modi, in tanti modi si fa presente nella storia per accompagnarci e guidarci verso un’autentica realizzazione. Uno di questi è la presenza degli altri e soprattutto di alcuni che lui stesso manda a noi come profeti, uomini, donne, adulti e giovani che facendosi umili entrano così profondamente in sintonia con lui da darci i suoi stessi pensieri, da farci intendere la sua stessa parola. Ci sono profeti anche oggi nella Chiesa e nel mondo. Tutti i battezzati hanno il dono di parlare a nome del Signore in forza della loro unione a Gesù, il Figlio. Alcuni e in alcune occasioni sanno farsi proprio strumento di Dio che ci viene incontro per illuminarci, aprirci la via, indicarci la strada, correggerci, provocarci all’amore e alla fedeltà. Fra tutti è il signore Gesù il profeta che viene a darci la parola che salva e libera: egli, anche attraverso le persone, si avvicina e ci parla, aprendo il cuore alla verità.

Rimane vera però l’esperienza dei contemporanei del profeta Ezechiele e di Gesù. A volte la chiusura del cuore, il non voler vedere e sentire mosso anche dalla paura di cambiare o di non farcela ad affrontare qualcosa di diverso, ci impedisce di aprirci al Signore che ci parla attraverso le persone. Altre volte i nostri pregiudizi tengono lontani gli altri, inscatolandoli dentro schemi vecchi di anni che ce li fanno vedere e incontrare secondo parametri antiquati che non lasciano all’altro di stupirci e di farsi voce di Dio per noi. I nostri pregiudizi sul parroco, impediscono di ascoltare le sue omelie o le sue riflessioni, finendo con il banalizzarle e gettarle via. I nostri vecchi schemi impediscono al marito, alla moglie, ai genitori di raggiungerci con la loro parola di sapienza. I nostri preconcetti sulla Chiesa e sul suo pensiero impediscono di accogliere le sue riflessioni, di approfondire ulteriormente quei temi che oggi interessano la società civile. La nostra fede ferma al passato impedisce a Gesù Cristo di incontrarci oggi, di dirci parole di vita. Sì, Dio è anche tra noi e ci parla, offrendoci una parola capace di Salvezza ma soltanto se abbandoniamo la pretesa di essere solo noi quelli buoni, intelligenti, svegli, lo potremo riconoscere; solo se riconosciamo la nostra fragilità e umilmente ci sentiamo come tutti gli altri potrà farsi strada l’aprirsi a Dio e alla sua voce; solo smettendo di difendere il nostro piccolo lenzuolo di certezze potremo aprirci alla Parola del profeta.

Noi stessi a volte siamo i profeti inviati agli altri: nella fede anche noi siamo degli inviati dal Padre per portare la sua parola. A volte abbiamo provato a vivere questo mandato. In alcune occasioni siamo stati riconosciuti e accolti, altre siamo stati banalizzati e allontanati: in casa, in parrocchia, nel lavoro. Abbiamo così sperimentato la debolezza della nostra parola, la durezza del cuore degli altri e nostro. Allora il Signore ci ha detto: «Ti basta la mia grazia» (2Cor 12,9). Anche oggi il Signore ci ripete queste parole: non lo fa per consolarci, anzitutto, ma per dirci dov’è il centro. Non sta in noi ma nel Signore: non le nostre parole, la nostra testimonianza, i nostri barbosi discorsi cambiano la vita delle persone ma la grazia del Signore che egli dona senza misura.

– don Silvano, Casa Sant’Andrea