“Dio ha parlato” (Eb 1,2).
Quante parole pronunciamo o ascoltiamo ogni giorno, parole che hanno un peso e rimangono nel tempo e altre che volano via. Il parlare ci permette di comunicare ma sappiamo bene che il vero comunicare tra di noi a volte passa anche per i silenzi e che ci sono dei gesti, delle esperienze che sono ben più loquaci delle parole pronunciate con la bocca.
Oggi celebriamo una Parola consistente, una Parola che ha la pretesa di coinvolgerci tutti e di fare casa dentro di noi e tra di noi, una Parola che non vola via… “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2). Dice così la seconda lettura del giorno di Natale e ci aiutando a riconoscere che Dio ha a cuore il comunicare con noi – ci parla! – ma ama farlo non solo a parole bensì donando se stesso, donandoci ciò di cui ha più caro, il Figlio. Ascoltare che Dio “ultimamente, in questi giorni, ha parlato” significa riconoscere che egli ha parlato a noi attraverso le parole e la vita di Gesù, ma anche che quel Gesù che ha camminato in mezzo a noi, si è donato fino a morire ed è risorto è la parola del Padre, la Parola che lui ci rivolge e consegna al nostro ascolto. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14): Dio non ci ha parlato solo attraverso un suono della voce come con Abramo, Mosé, i profeti ma consegnandosi a noi come uno di noi, bambino da prendere tra le braccia, guardare, nutrire, lavare, amare, ragazzo e giovane con cui andare incontro alla vita, adulto autorevole con una testimonianza affidabile. Dinanzi a questa presenza possiamo “esultare, prorompere in canti di gioia”, scomporci pieni di contentezza come la sentinella che vede all’orizzonte il ritorno del Signore a Gerusalemme (cf. Is 52,7-10). In questo modo possiamo vivere questa celebrazione: in questo modo possiamo vivere questo giorno con la comunità, in famiglia, interiormente.
Il Vangelo però ci porta dentro anche un’altra concretezza, non per turbare il clima di festa ma per renderlo più autentico. “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11). Sin dagli inizi, come ogni altra parola, anche Gesù, Parola di Dio, ha corso il rischio di cadere a vuoto, di non essere accolta, addirittura di venire rifiutata. E non la parola fatta di fiato ma “il Verbo che si fece carne” ha da sempre corso il rischio di questi inconvenienti. La Parola che ci fa “esultare e prorompere in canti di gioia” chiede di essere accolta nella carne, la carne di quanti oggi sono figli nel Figlio, i fratelli del Signore, i nostri fratelli cristiani e tutti i fratelli in umanità. Siamo chiamati oggi ad ascoltare la Parola di Dio che è tra noi nelle persone che abbiamo accanto le quali chiedono di essere ascoltate, di essere comprese nella loro parte più vera e più intima, nei bisogni più profondi, anche nei silenzi e nel “non detto” e così accogliere il dono di Dio.
“A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: (…) da Dio sono stati generati. Siamo figli di Dio e da figli possiamo vivere. La strada è quella di accogliere “la carne” di Gesù, il suo essere corpo e dono soprattutto nei fratelli concreti che ci ha posto accanto. “Non dimentichiamo che il primo atto di carità che possiamo fare al prossimo è offrirgli un volto sereno e sorridente” (Francesco, Angelus, 19.12.2021).
– don Silvano, Casa Sant’Andrea