“Io sono la porta” (Gv 10,7).
La quarantena prolungata oltre ogni aspettativa ci sta mettendo tutti alla prova. Fra tutti, forse sono i giovani quelli faticano maggiormente ad accettarla. È tipico di un giovane amare il movimento, andare e venire, incontrare altri, fare sport, non avere regole troppo stringenti… La chiusura e la sosta, invece, seppure non siano immediate per nessuno, sembra si adattino di più ad un adulto o agli anziani.
Questo tempo, tuttavia, ci da l’occasione di raccogliere delle testimonianze che ricalibrano lo sguardo. Il dinamismo giovanile è fatto di movimento fisico, di vita all’aperto e relazioni, ma in questo tempo molti di loro stanno abitando anche lo spazio dell’interiorità, scoprendolo ampio, interessante, abitabile. Dentro di loro stanno scoprendo la ricchezza di tanti interrogativi e riflessioni, emozioni e sentimenti, desideri autentici di vita e pienezza, appelli forti all’impegno. Come le persone di diverse lingue e culture che si rivolgono a Pietro nel giorno della Pentecoste, anche i giovani si chiedono: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?» (At 2,37), non solo provocati da una situazione incerta, ma desiderosi di scoprire in che modo spendere se stessi e donare la propria vita. Costretti dalla situazione si sono trovati dinanzi alla porta della loro coscienza. Nel silenzio del tempo passato da soli, provocati da tante situazioni di limite, fragilità e sofferenza, afferrati dalla riflessione e dalla preghiera, dei giovani sono giunti dinanzi alla porta del mistero, scoprendo che il passaggio attraverso Gesù Cristo permette di accedere alla vita piena, alla salvezza.
La parola domenicale del Signore incoraggia loro e ciascuno di noi a sostare di fronte a questa porta e ad attraversarla: l’incontro con il Signore permette di scoprire in ogni momento, anche in questo tempo di prova, l’accesso alla libertà più vera, la possibilità di “entrare e uscire”, il “pascolo”, il cibo che nutre e sazia, le presenze e gli orizzonti che danno pace. L’incontro con il Signore, il dialogo e la comunione con lui, sono ciò che permette di trovare “il meglio della vita” (ChV 143), come ci comunica la 57a Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni che viviamo in questa domenica. Mettersi in ascolto, intuire il nostro nome tra le tante parole che sentiamo e riconoscere che è pronunciato in un modo unico, carico di amore e fiducia, è l’inizio del cammino di uscita da ogni chiusura e immobilità e promessa di “salvezza”. Il Signore ha a cuore ognuno di noi, chiama ciascuno per nome e ci invita a seguirlo verso orizzonti aperti di incontro, dono, ospitalità, servizio, verso la vita piena. Nel nostro nome c’è un cammino da realizzare: è la nostra vocazione, una scelta simile a quella di tanti altri laici, sposi, genitori, consacrati, missionari, preti, ma da accogliere ed esprimere nella nostra unicità e rispondendo alla realtà concreta che ci ospita.
Portiamoci alla porta dell’interiorità e alla porta della vita che è Cristo Gesù. Guardiamo ad essa con stupore e desiderio, un po’ come le pecore del mosaico del frontone della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma raffigurate dinanzi alle porte di Gerusalemme e Betlemme. Lasciamoci chiamare per nome dal Signore e seguiamo la sua voce e “le sue orme” (1Pt 2,21) andando con fiducia lì dove va lui, perché egli conosce “il meglio della vita”.