E’ opportuno richiamare alcuni elementi di teologia della vocazione. Il tema della vocazione costituisce, nella Bibbia, una delle esperienze fondamentali di incontro tra Dio e l’uomo. Questi si riconosce proprio nella sua identità di chiamato da Dio. Quando il Signore chiama, dà un nome e rivela uno stretto rapporto tra nome e persona. Il Signore chiama sempre per affidare un compito e una missione ben precisi.
Nell’Antico Testamento, dopo l’esperienza dell’esilio, il tema della chiamata viene riferito all’intero popolo di Israele. Esiste, quindi, una chiamata del singolo e una chiamata del popolo. La chiamata del popolo viene espressa in termini sponsali. Questa immagine fonda l’idea della gratuità e della creatività della vocazione. Il racconto dell’Esodo mostra che Dio trasforma un “non popolo” in popolo, facendolo “suo” popolo. La vocazione apre un futuro per il popolo e per i singoli, come accadde per Abramo e Sara, e fino a Giovanni Battista e a Gesù.
I Vangeli raccontano la chiamata dei primi discepoli e poi dei dodici: è una chiamata che domanda sequela e non discernimento, per cui non lascia spazio al dubbio nella risposta. Tutte le vocazioni del Nuovo Testamento si irrobustiscono passando attraverso la prova della Pasqua. Questo significa che la storia dei chiamati si comprende come storia della loro fede. La sequela vocazionale è luogo di fede. Il rifiuto del discernimento vocazionale può portare al rifiuto globale della fede, come fa comprendere la vicenda del giovane ricco, la cui chiamata esige, in modo esplicito, una sequela immediata e radicale (cfr. Mc 10,17-22).
Nella Sacra Scrittura, oltre alla vocazione insita nella stessa persona umana a riconoscere Dio e a costituire la nostra relazione personale con Dio, sono delineati due generi di vocazioni: la vocazione alla fede e la vocazione al ministero e alla sequela radicale di Cristo. La vocazione alla fede si realizza nel riconoscere, nell’accogliere e nel seguire Cristo, conformando tutta la propria vita a lui. È vocazione che domanda il discepolato, comune a tutti i battezzati. La vocazione al ministero e alla sequela radicale di Cristo si esplicita nel fatto che, all’interno del suo popolo, Dio chiama alcuni a un compito particolare: al ministero e alla missione. Nell’Antico Testamento questa è la vocazione dei profeti. Nei racconti biblici si vede chiaramente che i profeti autentici non hanno fatto la loro scelta per inclinazione personale, ma perché chiamati da Dio. In alcuni casi hanno provato difficoltà e opposto resistenza ad accettare tale vocazione. Nel Nuovo Testamento Gesù sceglie tra i discepoli i dodici Apostoli con una vocazione particolare (cfr. Mc 3, 13ss). Questi chiamati lasciano tutto per seguire Gesù e “stare con lui” e prepararsi alla missione. Il ministero ordinato (vescovi, presbiteri, diaconi) è la continuazione di questa chiamata per la missione e suppone una vocazione specifica in seno al popolo di Dio.
In questo genere, anche se distinta, si colloca la vocazione alla sequela radicale di Cristo, espressa nell’abbracciare la sua forma di vita: verginità per il Regno dei cieli, obbedienza e povertà.
Vocazione significa, allora, il mistero di una scelta da parte di Dio Padre di ciascuno dei suoi figli, donne e uomini, nella quale ciascuno riconosce l’invito del Signore a imprimere alla propria vita un orientamento definitivo, realizzando, così, la propria libertà.
La storia della Chiesa mostra che la vocazione individuale è legata all’ascolto attento della parola di Dio, in particolare durante la liturgia. Così è avvenuto, per esempio, per Antonio abate e per Agostino di Ippona.
Nell’opinione comune c’è una forte riduzione del termine vocazione: si tratterebbe, infatti, della prerogativa di poche persone, sicure della propria chiamata alla vita sacerdotale o religiosa. Dio, invece, chiama tutti e, all’interno della generale consapevolezza di chiamati, si delineano anche le vocazioni di speciale consacrazione. Si capisce, allora, come “tutta la pastorale, e in particolare quella giovanile, è nativamente vocazionale… perché la pastorale è, fin dagli inizi, per natura sua, orientata al discernimento vocazionale. E’ questo un servizio reso a ogni persona, affinché possa scoprire il cammino per la realizzazione di un progetto di vita come Dio vuole, secondo le necessità della Chiesa e del mondo di oggi”[1][1].
L’annuncio che il Signore chiama va fatto con gradualità, ma con decisione fin dalla preadolescenza, senza temere di cadere, per questo, in un errore di ordine educativo. Esperti di pastorale vocazionale avvertono come “sarebbe sbagliato ritenere che non abbia rilievo la cura vocazionale di questa fascia di età. In essa avvengono infatti le intuizioni vocazionali più vive e precoci. A questa età si ha la più ampia plasticità per la maturazione dei prerequisiti vocazionali (espansione della vita di relazione, amicizia, vita di gruppo, generosità, ecc.)”[2][2].
Un aiuto formidabile, nel processo di individuazione vocazionale, è dato dall’impegno gratuito dei genitori, dei catechisti e degli educatori, che operano all’interno della comunità cristiana.
E’ sempre il Signore che semina largamente i germi di vocazione di speciale consacrazione: ma il loro riconoscimento e la loro accoglienza dipende anche dall’azione pastorale della Chiesa. Le vocazioni al ministero sacerdotale e alla sequela radicale di Cristo vanno, comunque, implorate con la preghiera costante, memori delle parole del Signore Gesù: “Pregate il padrone della messe perché mandi operai alla sua messe” (cfr. Lc 10,2).
[1][1] PONTIFICIA OPERA PER LE VOCAZIONI ECCLESIASTICHE, Nuove vocazioni per una nuova Europa. Documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa (Roma, 5 – 10 maggio 1997) (6.I. 1998), n. 79.
[2][2] S. DE PIERI, Orientamento educativo e accompagnamento vocazionale, Leumann-Torino 2000, p. 101.