La vocazione è “bella notizia”

Il convegno annuale promosso dal Centro nazionale vocazioni ha concentrato la sua attenzione sul tema della testimonianza. C'è bisogno di “raccontare” più esplicitamente la “bella notizia” della propria vocazione, andando oltre la “sindrome del tramonto”. La vocazione è “polifonia” dell'amore totale. I messaggi “forti” risuonati nel convegno.
Il messaggio che papa Benedetto XVI ha già fatto pervenire a tutte le chiese in occasione della prossima Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, si declina attorno ad un tema che sfida in maniera radicale la pastorale delle nostre comunità cristiane, e non solo la pastorale vocazionale, anche se essa è chiamata ad essere in prima linea per rispondere a questa sfida: “La testimonianza suscita vocazioni”.
Potremmo dire che la via della martyria è una via privilegiata per essere discepoli coerenti, credibili e gioiosi di Gesù, in un'epoca dove indifferenza, cinismo e il terribile appiattimento del nichilismo, come una grande piovra, sembrano abbracciare tutto.
Il tema che il papa propone per la prossima Giornata mondiale per le vocazioni del 25 aprile 2010 è stato declinato dal Centro nazionale vocazioni (Cnv) nella proposta di uno slogan che non è solo mediazione, ma è anche una sottile provocazione all'atteggiamento di fondo di ciascuno, al di là che sia coinvolto in un'animazione vocazionale o in qualsiasi altro ambito dell'impegno ecclesiale.
«Ho una bella notizia! Io l'ho incontrato…». Il convegno nazionale degli animatori e animatrici vocazionali, che si è svolto a Roma dal 3 al 5 gennaio 2010, ha visto riunita una straordinaria presenza di centri diocesani vocazionali, di rettori e seminaristi, di religiose, religiosi, laici consacrati e laici impegnati nel tessuto vivo della pastorale.
Circa 700 partecipanti hanno vissuto giorni di profondo coinvolgimento e di reale cammino di fraternità ecclesiale, di testimonianze di vita, di riflessione e di preghiera condivisa, sempre più convinti che il lavoro comune, pur non garantendo risultati immediati, alla lunga crea una profonda sensibilità di comunione ecclesiale, che è la testimonianza più convincente di ogni proposta cristiana e vocazionale. Questo vale ancora di più quando si desidera parlare alla realtà giovanile, che spesso vive dentro una profonda solitudine, perché il mondo degli adulti fatica a porsi come interlocutore amabile e disponibile verso i loro appelli, le loro domande e i loro bisogni.
Potremmo ridisegnare, in sintesi, alcuni passaggi chiave di questo convegno nel quale le strategie operative e pastorali, pur sempre importanti e significative, non sono state il perno di una ricerca esasperata. Nel corso dei lavori è emersa la comune consapevolezza che è nei credenti in quanto “testimoni e narratori della vocazione” che deve crescere un'esperienza di fiducia e di lettura positiva della vita. Solo questo può aiutare ad essere portatori di una “buona notizia” di cui ogni persona sente un profondo bisogno nella sua ricerca di senso.
Ho una bella notizia! Quante volte si desidera che qualcuno ci incontri e ci dica qualcosa di rasserenante per la nostra vita e il nostro cuore! Quante volte, ponendoci di fronte ad un telegiornale, si insinua in noi un senso di sconcerto e una sottile angoscia che avvolge la nostra sensibilità!
«Ho una bella notizia!» è così raro sentirlo dire. Il vero “testimone” non guarda all'esito della sua missione e del suo servizio, ma cerca di proporre in maniera semplice e appassionata la propria testimonianza di vita.
* Una testimonianza che è relazione e non semplicemente annuncio di parole.
* Una testimonianza che è presenza, là dove i giovani vivono e dove le famiglie sperimentano la precarietà e la fatica di un cammino educativo, e non semplicemente un “passare accanto”.
* Una testimonianza che è incontro con un'esperienza bella o una persona bella fa divenire questa bellezza qualcosa da raccontare, perché scaturisce dal cuore.
* Una testimonianza viva e serena dell'Assoluto permette di diventare narratori di un incontro (quello della nostra vocazione), che ha cambiato radicalmente la nostra esistenza. Così la vocazione diviene una vera risorsa di vita e la vita torna ad essere vocazione.
Oltre la “sindrome del tramonto”.Il convegno si è aperto con la riflessione del presidente della Cei Angelo Bagnasco, il quale ha indicato alcune piste efficaci di riflessione e di impegno per tutta la pastorale vocazionale.
Se la testimonianza del fascino di Cristo è propria di tutti i battezzati, i presbiteri e i religiosi sono chiamati non solo a recapitare una buona notizia, illudendosi che le opere buone siano sufficienti per dire Dio all'uomo moderno e a suscitare vocazioni. Ciò non è sufficiente!
«Il mondo vuole sentire l'eco della gioia che le opere di Dio provocano in noi e vedere compiere un'opera convincente che sa di miracolo, più che risuscitare i morti: l'unità che nasce dalla comunione affettiva ed effettiva, in un contesto segnato da dissidi e divisioni. I chiamati – ha detto il card. Bagnasco – devono offrire a tutti la grazia della vocazione, che nasce dalle ginocchia e dal sacrificio. I giovani vogliono vedere uomini felici di appartenere a Cristo e alla chiesa in mezzo alle difficoltà e alle prove, senza fughe: è la cartina di tornasole della maturità umana e cristiana».
E, riguardo alla crisi delle vocazioni che sembra toccare in maniera dura alcuni istituti religiosi, ha indicato una splendida traiettoria di testimonianza fiduciosa, per avere il coraggio di non trovare solo… il “buio oltre la siepe”, cadendo vittima della “sindrome del tramonto”, perché non si vedono nuove presenze vocazionali all'orizzonte.
«Lo spettacolo di una vita lamentosa e trascinata senza entusiasmo lega le mani di Dio… Anche le attività apostoliche devono nascere dalla contemplazione di Cristo, altrimenti si rischia che la nostra divenga solo una forma di autotestimonianza, una certificazione narcisistica di noi stessi!».
Per superare questa situazione difficile, il card. Bagnasco ha parlato con profonda convinzione della «necessità di vivere la testimonianza della parola, convincente e non suadente, da coniugare alla concretezza di vita e di opere».
Confermando questo sentiero da percorrere insieme, come chiesa e come comunità cristiane, il vescovo Italo Benvenuto Castellani, presidente della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata e presidente del Cnv, ha ribadito: «Con i giovani oggi bisogna esserci, stare loro vicini, sviluppare relazioni profonde e rispettose. Il giovane, per vie misteriose che passano anche dall'esperienza della trasgressione, è un naturale “cercatore di Dio”. Per aiutare i giovani a cercare la propria strada e a rispondere alla propria vocazione, è necessaria quell'arte del dialogo capace di illuminarli e accompagnarli, soprattutto attraverso l'esemplarità dell'esistenza vissuta come vocazione».
«Per poter donare una testimonianza nitida – ha proseguito mons. Castellani – non guardiamoci l'ombelico, distruggiamo l'idolo del nostro io quando diventa un assoluto, rifiutiamo questo ripiegamento egoista, perché chi si risparmia si perde; al contrario, donare la vita è l'unico modo per custodirla. Resta soltanto ciò che abbiamo portato fuori di noi, il resto si corrompe. È questa la chiave evangelica per tornare alle chiese locali come narratori di vocazione tra i giovani, che da noi attendono proprio questo annuncio. Siamo disposti a “gettare” il patrimonio della nostra vita per il Signore?».
A queste parole ha fatto eco, con la sua presenza e la sua esortazione, il card. Claudio Hummes, prefetto della Congregazione per il clero. Egli ha posto in luce il bisogno di nuove vocazioni presbiterali per una «presenza qualificata, selezionata e missionaria, che per tutta la chiesa rappresenta un'urgenza non più procrastinabile».
Narratori del vangelo della vocazione. Nella sempre lucida e coinvolgente proposta di Amedeo Cencini sono pure emersi aspetti pastorali e concreti di questo impegno nella “testimonianza-narrazione vocazionale”. Essa esige una radicalità che è ben lontana da una testimonianza artificiale o preconfezionata o da una narrazione banale e presuntuosa.
Padre Cencini ha elencato una serie di strumenti espressivi diversi per raccontare l'esperienza della chiamata, la quale rappresenta sempre una vera e propria “teofania”: si tratta non solo di parole, ma anche di gesti, simboli e immagini per fare memoria della presenza concreta del Signore nella propria esistenza.
È il passaggio, non sempre scontato, da un pensiero logico ad un pensiero narrativo che porta, come emanazione feconda, a vivere l'annuncio e l'evangelizzazione secondo lo stile di Gesù. Proporre la buona notizia con uno stile narrativo recupera gli elementi essenziali della propria storia spirituale e vocazionale (“teo-logia”); sa trasmettere una memoria grata di quanto vissuto nella propria esperienza di chiamata; permette di elaborare una progettualità di vita capace di dare un colpo d'ala ad un cammino spesso immerso nella banalità di cose troppo effimere. Solo così si può mettere in campo tutta la forza della sapienza del cuore, capace di relazionarsi secondo uno stile coinvolto e coinvolgente di “teo-patia”.
La vocazione: la “polifonia” dell'amore totale. L'intervento conclusivo del convegno è stato proposto, con parole calde e appassionate, da padre Ermes Ronchi, il quale ha ribadito che «la vocazione non nasce da una sot­trazione di vita, ma da un'addizione: è ora di parla­re del piacere della chiamata».
Padre Ronchi ha insistito sulla bellezza e sulla pienezza del consacrarsi intera­mente al Signore, sottolinean­do la «polifonia dell'amo­re senza mezze misure, nella radicalità e totalità del cuore, che rischia di subire – se non intesa cor­rettamente – distorsioni affet­tive, brinate sui sentimenti, freddezza nell'amicizia».
Egli ha ricordato che è sempre in agguato il pericolo di ca­dere nella “sclerocardia”, la “du­rezza del cuore” tanto stigma­tizzata nella Scrittura. Così la vita spirituale si disidrata nel­l'illusione di amare Dio perché non si ama nessuno sulla terra, quando invece, al di fuori delle relazioni, non esiste infinito quaggiù. Donare autenticamente la vita è ben lontano dal «prendere ciò che serve al proprio benessere af­fettivo ed emotivo».
Padre Ermes ha ricordato che dilatare i propri confini inte­riori significa «accostare e av­vicinare giovani che vivono an­che situazioni irregolari nella sessualità: il linguaggio del giu­dizio può allontanarli, forse per molto tempo, dalla chiesa. L'inna­moramento rappresenta un'e­sperienza mistica allo stato sel­vatico, l'unica di questo tipo per la grande maggioranza delle per­sone. Lì si può annunciare il paradiso, perché l'amore resta il luogo primario di evangeliz­zazione e non di moralizzazio­ne». Spesso, invece, i consacrati si presentano con «una fede sen­za corpo, che è l'umile e santa cattedrale con cui entriamo in contatto con il mondo. C'è il pericolo di togliere umanità al­la parola di Cristo».
Nello scenario odierno, presbiteri e consacrati sono sollecitati ad essere non esperti di ombra e di etica, che salmo­diano le comuni paure, ma a co­struire sopra le proprie debo­­lezze, i dolori e le fragilità: sono fe­rite sacre in cui c'è Dio e da cui ricavare guarigione per altri. Da un'esistenza gioiosa i giovani saranno affascinati, mentre un deterrente alla vocazione è co­stituito dal vedere, sentire o pensare che la nostra vita non sia felice e piena, come non del tutto appagante, anche se valida e impegnata.
I messaggi forti del convegno. Come essere au­tentici «testimoni e narratori del vange­lo della vocazione»?
• Per essere credibili ed entrare in sintonia con la sen­sibilità delle persone e dei giovani, occorre privilegiare la via dell'ascolto: bisogna «perdere più tempo» ad ascolta­re i problemi della gente, in particolare dei gio­vani che talvolta si ritrovano ac­canto padri assenti e madri an­siose e iperprotettive e non hanno interlocutori adulti affidabili. Nel caos di eventi spes­so segnati da negatività e violen­za, siamo chiamati a proporre la nostra esperienza cristiana, a par­larne e a vivere la gioia dell'in­contro con Gesù.
• Nel rileggere la parola chiave del­la testimonianza emerge la necessità di dare più spazio alle relazioni che all'orga­nizzazione, con una particolare attenzione alla sfida educativa che oggi coinvolge tutti e che sarà la cifra pastorale della chiesa italiana nel prossimo decennio. È una relazione in­terpersonale e pastorale che va curata come priorità assoluta.
• Nell'accompagnamento e nella testimonianza vocazionale è essenziale riscopri­re la forza e la grazia del dono della consola­zione, rimanendo accanto all'altro per donare più speranza. Per fare ciò, non basta essere testimoni gioiosi: ci vuole un cuore riconci­liato, in pace con se stesso e meno fram­mentato. E non è sempre facile riannodare i mille fili spezzati che a volte ci ri­troviamo tra le mani.
• Siamo chiamati ad essere una chiesa di “martiri e di santi” nel quotidiano, capaci di vivere la “martyria della luce” per rendere testimonianza alla luce incontrata nella nostra vita: Gesù. Non dobbiamo limitarci ad essere degli esperti di ombra, ma a vivere come lampade accese che valgono ben più delle maledizioni che salgono dalle tenebre.
• Siamo chiamati ad essere “martiri di vita”: Gesù comunica la vita e la dona in abbondanza, perché sia una vita spesa nella pienezza della libertà e della speranza. Ciò richiede di saper costruire anche sopra le fragilità e debolezze, sapendo che in ogni ferità c'è un filone d'oro da scoprire.
• Siamo chiamati ad essere “martiri della gioia e della fatica”. Lo affermava con forza don Lorenzo Milani: «Tutto è speranza, perché tutto è fatica». Solo allora il cuore saprà narrare il suo stupore e la sua meraviglia non per un miracolo donato, ma per i mille giorni senza miracoli in cui il Signore, rimanendoci accanto, ci ripete sempre il suo «non temere, perché io sono con te!».
• Ci sono molte risorse umane e spirituali che rimangono ancora inespresse: gli stessi animatori vocazionali per primi non ne hanno piena consapevolezza; tutto ciò richiede di fare scorta di una buona riserva di fiducia. Come ha ricordato il card. Bagnasco, i problemi in campo vocazionale non mancano. In un mondo spesso segnato dalle enfatizzazioni mediatiche siamo chiamati a narrare ai giovani la parte più significativa e profonda della nostra esperienza di vita e di incontro con il Signore. La nostra testimonianza sarà davvero persuasiva se, con gioia e verità, saprà raccontare la bellezza, lo stupore della vita e la meraviglia donata a quanti sono innamorati di Dio.
 
Nico Dal Molin
direttore del Cnv