“Ma egli gridava ancora più forte” (Mc 10,48)
Sentire e ascoltare: due verbi che hanno significati simili ma anche molto diversi. Penso si possa dire che l’ascoltare è fatto di una maggiore attenzione e consapevolezza che non il sentire. Sento tanti rumori, suoni, voci ma non mi soffermo su di essi particolarmente. Quando invece mi soffermo, do loro spazio e ospitalità allora nasce l’ascolto: è come se aprissi la porta a un suono, lo facessi entrare in casa mia e accomodare, gli dessi il mio tempo e il mio silenzio, la mia disponibilità.
Ascoltare chiede di lasciarsi scomodare. Anche per questo a volte preferiamo spegnere le orecchie, lasciarci scorrere addosso i suoni e le voci oppure prenderne le distanze scegliendo di non lasciarci coinvolgere. Fa bene il silenzio ed è necessario ma altra cosa – come la folla che rimprovera il cieco perché taccia (cfr Mc 10,48) – è scegliere di non ascoltare quando una parola ci chiama. Quei “molti” che sgridano Bartimeo forse non amano la confusione? Non vogliono che Gesù sia distolto da loro? Non danno valore a quell’uomo proprio perché cieco e povero?
Gesù non scappa dalle grida del cieco. Lo fa chiamare: avviene un incontro e un dialogo pieno di interesse per lui, per ciò di cui lui ha bisogno. Gesù non solo sente ma anche ascolta: non mette al bando dalle sue orecchie e dal suo cuore le grida di questo uomo come invece fanno altri ma si lascia compromettere da lui, come ben dice la seconda lettura: “Egli è in grado di sentire giusta compassione (…), essendo anche lui rivestito di debolezza” (Eb 5,2). Gesù conosce il valore delle grida, della debolezza dell’uomo e non scappa da esse ma si ferma ad accoglierle e a donare salvezza. Egli ascolta sempre i poveri che chiedono cibo, riparo, salute, giustizia, vaccini; i ragazzi e i giovani che si sentono smarriti e impauriti; le coppie che si trovano spiazzate dalle responsabilità della vita; gli ammalati che si trovano ad affrontare da soli la prova; il cuore dell’uomo che cerca la compassione del Signore, la sua salvezza.
Guardando il Signore scopriamo che anche noi possiamo provare a sentire giusta compassione per quanti gridano oggi nel mondo e verso di noi. Possiamo farlo anche se siamo deboli, anche se pensiamo di non essere all’altezza, anche se questo comprometterà il nostro futuro perché non siamo soli: ci precede il Signore che per primo ascolta ogni voce che domanda salvezza. Avvicinandoci al fratello che chiama ci accorgeremo che il Signore è già sul posto da prima del nostro arrivo, che il nostro essere lì è anche un seguirlo, un andare dove è andato lui. Forti anche noi della sua compassione potremo fermarci, ascoltare, lasciarci chiamare, coinvolgere e mettere in cammino e compiere un autentico cammino vocazionale.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea