“Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato” – Quinta domenica di Pasqua, anno C

“Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato”

Nel mondo e tra di noi di amore ce n’è e molto, anche, nonostante a volte faccia più rumore l’odio e il male. Ci sono gesti di affetto, di tenerezza, di giustizia, di verità, di amicizia, di dono, di servizio… Possiamo dire, però, che sia un amore come quello di Gesù? Perché è a questo che il Signore ci chiama, che chiama i suoi discepoli: ad amarci alla sua maniera, ad annunciare la sua presenza amandoci come lui ci ha amati. Non siamo chiamati solo ad amare e ad amarci ma ad amarci come lui, con un amore che è dono totale, sino alla croce.

A volte il nostro amore non riesce a spingersi sino a tanto. Amiamo se ci sentiamo ricambiati, amiamo se l’altro secondo noi se lo merita, amiamo chi appartiene al nostro giro. Cristo, invece, ci chiama a un amore totale, sincero, generoso e verso tutti. Altre volte amiamo cercando di togliere ostacoli e dolore dalla vita dell’altro, dei figli, delle persone care, per affetto, ma anche per paura. Travestiamo di amore il dramma di una maternità non voluta, la salute incerta del bambino concepito, scegliendo la via dell’aborto piuttosto che la croce di un amore quotidiano. Travestiamo di amore il dramma dell’incomprensione e del conflitto, scegliendo la via della rottura piuttosto che quella del dialogo e del perdono. Travestiamo di amore il dramma del dolore di un anziano o di un ammalato, preferendo l’eutanasia piuttosto che scegliendo di condividere la sua fatica giorno dopo giorno. Cristo, però, ci chiama a un amore diverso, alla piena condivisione del cammino dell’altro e non a travestire di amore il dramma dell’altro.

Amare significa prendersi cura degli altri, offrendo un servizio che permetta di fare comunità e di non vivere il quotidiano, fatto di fatiche ma anche di gioie, da soli. In queste domeniche gli Atti degli apostoli ci fanno percepire la vivacità degli inizi della Chiesa ed oggi l’attenzione che i credenti abbiano qualcuno che li aiutino a “restare saldi nella fede” (At 14,21). Paolo e Barnaba, allora, passando per le comunità, in particolare Lista, Iconio e Antiochia, designano alcuni anziani a cui affidarle, invocando su di loro lo Spirito. Amare significa anche “designare” qualcuno che si prenda cura degli altri, che li incoraggi nel tempo della tribolazione, che condivida con loro la quotidianità, che stimoli a vivere insieme, ad essere Chiesa del Signore, che renda reale la comunione con gli altri, con le altre comunità e con il Signore. Amare significa allora anche fidarsi degli altri, credere che lo Spirito lavora anche attraverso le persone concrete che abbiamo accanto, che anche loro possono amare e far crescere l’amore. Amare significa prodigarsi perché attraverso il proprio impegno e quello di altri si apra la porta della fede anche per i pagani (At 14,27). Amare non significa perseguire il proprio benessere, neppure spirituale, ma donarsi perché quell’amore che ha sconvolto in bene la propria vita possa donare vitalità anche ad altri, a tanti, a tutti.

A otto giorni dalla Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, riconosciamo che la nostra comune chiamata è quella all’amore, ad amare come Cristo. È impegnativo un amore così e non è nemmeno spontaneo, ma se accogliamo dall’Eucaristia domenicale la forza che il Signore desidera darci con la sua Parola e con il suo Pane, non sarà impossibile.

– don Silvano, Casa Sant’Andrea