«Perché state a guardare il cielo?» – Solennità dell’ascensione, anno B

«Perché state a guardare il cielo?» (At 1,11)

L’ascensione di Gesù al cielo segna un distacco tra i discepoli e il Signore: si ripete per loro un’esperienza di lutto simile a quella del venerdì santo, in cui il Maestro, l’amico, il Messia viene loro tolto. Possiamo ben immaginare la loro fatica a distogliere gli occhi dal cielo, dall’orizzonte in cui si è avviato sino a non essere più visibile. Ed ecco che le parole pronunciate “dai due uomini in bianche vesti” hanno una forza particolare. «Perché state a guardare il cielo?» (At 1,11) non sono semplicemente un invito a non perdere tempo e a riprendere la vita quotidiana ma un esplicito mandato a prendere in mano la responsabilità di quanto vissuto con Gesù, di quanto ricevuto da lui.

Per i discepoli si apre un tempo nuovo, il tempo della vita fino a quando Gesù “verrà allo stesso modo in cui l’hanno visto andare in cielo” (At 1,11), un tempo in cui vivere la novità del Vangelo con la serena fiducia della presenza dello Spirito e del ritorno di Cristo. Ed essi prendono sul serio questo mandato. Dagli Atti degli apostoli e dagli altri testi del Nuovo Testamento sappiamo bene come non siano rimasti con le mani in mano ma abbiano dato libertà a quell’urgenza di annunciare il Vangelo che aveva cambiato la loro vita. Hanno atteso lo Spirito promesso da Gesù e forti della sua presenza hanno cominciato a raccontare il Vangelo e a fare comunità, spezzando il pane della carità fraterna, affrontando il rifiuto degli altri e le persecuzioni, si sono aperti ai pagani, hanno compiuto viaggi missionari e grazie al loro impegno anche noi abbiamo oggi il dono della fede. Lo Spirito ha inviato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri e così hanno edificato il corpo di Cristo (cf. Ef 4,11-12), sperimentando la fedeltà di Dio.

Dentro a questo loro tempo ci siamo anche noi. Anche a noi viene detto oggi: «Perché state a guardare il cielo?» e non è un richiamo ma un sano invito ad occuparci della terra portandovi ciò che abbiamo ricevuto e che abbiamo di più prezioso: la presenza del Signore Risorto. Oggi siamo inviati a quel mondo che ci circonda e che a volte temiamo, un’umanità fragile, conflittuale e problematica, che sembra non voler aprirsi alla fede ma amata dal Signore e per la quale anche noi possiamo avvertire amore sincero. Oggi siamo chiamati a tornare nella nostra città, nella nostra comunità cristiana per servirla con impegno e creatività, forti di quanto abbiamo ricevuto finora e dello Spirito che abita anche in noi e anche attraverso di noi desidera operare. Siamo chiamati a farci strumento perché il Vangelo abiti nella nostra comunità e intorno a noi, chiamati a servire il Regno di Dio chi da sposi e genitori, chi da consacrati, altri da politici, alcuni da presbiteri o diaconi, consapevoli che il nostro agire è un servizio al Signore e alla Chiesa.

La salita di Gesù al cielo per noi un chiaro mandato a renderci disponibili per “edificare il suo corpo”, portare il nostro contributo alla Chiesa e all’umanità. Anche alla Chiesa che, almeno ai nostri occhi, non sta vivendo tempi semplici. Più che rafforzarla con puntelli e impalcature, però, è necessario agire seriamente e con decisione insieme, perché, spoglia di cose inutili, sia un corpo sano e vigoroso, il Corpo del Cristo Risorto.

– don Silvano, Casa Sant’Andrea