“Pronti a rispondere” (1Pt 3,15).
Se qualcuno ci chiedesse chi è il cristiano, quale sarebbe la nostra risposta? Una risposta la troviamo proprio nelle parole che Dio ci rivolge in questa domenica, in particolare la seconda lettura. C’è una frase molto intensa che Pietro ci rivolge: “Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15).
Ed ecco chi è il discepolo del Signore. Anzitutto è uno che ha una speranza nel cuore. Avere una speranza nel cuore, non vuol dire essere ottimisti o avere la capacità di guardare alle cose con buon animo e andare avanti e non è neppure semplicemente un atteggiamento positivo, come quello di certe persone particolarmente fiduciose. Seppur cose buone, tutte queste sono soltanto alcuni tratti della speranza. La speranza, piuttosto, assomiglia ad un’ancora. In questa maniera ce ne parla la Lettera agli Ebrei: “Abbiamo un forte incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza. in essa infatti abbiamo come un’àncora sicura e salda per la nostra vita” (cfr Eb 6,18-19). In questo modo la raffiguravano i primi cristiani, magari incidendone il segno sulle lapidi o sul tufo delle catacombe. È un’ancora fissata nella riva dell’aldilà, in Gesù Risorto. Il cristiano è uno che ha ancorato il proprio cuore all’eternità, a Cristo Risorto, a lui che ci ama: è uno che vive ogni giorno quasi camminando sulla corda a cui è agganciata l’ancora. Il cristiano è una persona che porta nel cuore la certezza di essere amato da Dio, un amore fedele che gli offre l’eternità. E di questa speranza il cristiano ne è fiero, tanto che non teme di condividerla, spiegarla, annunciarla a chiunque. Questa è l’ancora che lo rende sereno, fiducioso, sorridente, aperto. Anche in questo periodo del tutto particolare, in questi giorni di riapertura di tante possibilità dopo la prolungata quarantena il cristiano sa che può sperare. Non dice solo ad alta voce “andrà tutto bene” quasi per provare a crederci, tantomeno prova a fare finta di niente o cerca di non pensare alla paura di un virus e all’angoscia dinanzi alla complessità della vita, ma piuttosto cerca di stare dentro alla realtà saldo nella promessa del Signore, attraccando il cuore a lui.
Ma siamo davvero ancorati al Signore Risorto? O, meglio, dove siamo ancorati noi, dove ancoriamo la nostra vita e il desiderio di bene che ci accompagna? Siamo ancorati proprio là, sulla riva di quell’oceano tanto lontano o in una laguna artificiale che abbiamo fatto noi, un mondo che ci siamo costruiti con le nostre regole, i nostri comportamenti, i nostri orari, i nostri schemi, le nostre comodità e sicurezze? Non è facile rispondere a questa domanda, eppure è necessario, per trovare il meglio della vita e offrire una buona testimonianza al Signore. Se sono ancorato nei soldi, nell’apparire, nel potere, nell’attivismo agitato, nella paura di deludere, nell’angoscia di soffrire… troverò davvero la pace o racconterò con la mia vita l’autentica speranza? Qualsiasi sia il punto in cui ci troviamo e il vissuto di questo tempo, per tutti è la parola della Scrittura. Essa ci invita a riprendere il cammino verso la speranza compiendo un primo passo: “adorare Cristo nei nostri cuori”, ossia avvicinarci alla nostra interiorità per riconoscere che il Vivente abita anche in noi come sorgente di vita, forza, libertà, dono. Questa sana intimità con noi stessi è chiamata poi a compiere un secondo passo: “dare ragione” della nostra relazione con lui a quanti incontriamo, con le parole, ma ancor più con una vita da risorti, da uomini e donne che stanno in piedi nella vita. Ancorati nel Signore, quasi sentendo una corda che ci tiene collegati in profondità e offre sicurezza, possiamo vivere, stare nella realtà quotidiana, ma anche compiere le scelte a cui siamo chiamati. Senz’altro ci saranno momenti in cui ci sentiremo vacillare, ma la fedeltà del Signore ci permetterà di dare ragione in modo cordiale, rispettoso e semplice di lui.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea