«Sono pochi quelli che si salvano?» – XXI domenica del tempo ordinario, anno C

«Sono pochi quelli che si salvano?» (Lc 13,23).

La parola “salvezza” e tra le più utilizzate nel linguaggio della nostra fede ed è centrale nelle letture di questa domenica. Allo stesso tempo è tra quelle che più corrono il rischio di essere povere di significato. Salvi ma da chi o da che cosa? Per quanto ci siano reali situazioni di pericolo per cui preoccuparci, il sentire della cultura attuale è che non siano ancora così gravi da dover attivare qualche cambiamento o novità, come se in fin dei conti ci abitasse la convinzione che ce la caveremo comunque.

Per avvertire lo spessore della salvezza abbiamo probabilmente bisogno di un bagno di realtà, di un contatto concreto, in prima persona, con la precarietà della vita e con delle persone che ne sperimentano i drammatici effetti ossia gli emarginati, gli abbandonati, gli ammalati, i poveri, i delusi, gli affaticati e con loro prendere contatto con la reale fragilità umana. Finché restiamo a comoda distanza da chi ha bisogno di aiuto, difficilmente sperimenteremo la possibilità della salvezza. Solo condividendo l’esperienza di quanti gridano domandando aiuto, sostegno, presenza potremo riconoscere che il bisogno di salvezza fa parte di questo mondo e ha a che fare con noi. Ciò non basterà a scoprire la possibilità della Salvezza con la prima lettera maiuscola, quella che viene da Dio. La precarietà della vita di un naufrago o di un malato terminale potrebbe anche trovarci solidali ma talmente chiusi alla vita spirituale, centrati su di noi e sull’orizzonte umano o qualunquisti, da non avvertire la presenza di qualcuno di più grande – o infinitamente piccolo! – che ha parole di eternità, di vita, di libertà ed è presente con efficacia nel maroso della vita. Solo il fare spazio ad altro da noi potrà permettere anche alla parola di Dio di entrare nell’orecchio del cuore e aprire orizzonti di vita più ampi di quelli solamente umani, facendoci sentire la verità dei nostri bisogni fisici ma anche di altri ben più profondi e radicali che solo in un Altro da noi possono trovare risposta e compimento.

La Salvezza di Dio è per “tutte le genti e tutte le lingue” (Is 66,18), annunciava già il profeta Isaia e in Gesù abbiamo avuto la certezza di Dio che le genti verranno da ogni dove “e siederanno a mensa” (Lc 13,0) nel suo Regno. Accadrà, tuttavia, che “vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi” (ibid.) perché “la porta per entrarvi è stratta” e a un certo punto “il padrone di casa si alzerà a chiuderla”. Parole come queste potrebbero farci scivolare in domande come quella del tale che si rivolge a Gesù nel Vangelo: «Esiste la possibilità che qualcuno non si salvi?» oppure «È davvero buono il Signore?» o «È davvero una possibilità l’Inferno?». Per quanto legittime, la Parola di oggi non mette in discussione che Dio sia grande nell’amore e misericordioso: piuttosto chiede un passaggio radicale di fede dal coltivare un’immagine di Dio attento ai meriti, che offre la salvezza soltanto a chi fa bene delle pratiche esterne, al lasciarsi coinvolgere da un rapporto con lui di fiducia e incontro personale. La porta stretta da attraversare è quella dell’amore, il suo e il nostro: l’amore mette in gioco, non permette di rimanere nel freddo o tiepido eseguire qualcosa per un altro. Già Isaia ci fa intuire questa diversa prospettiva: “Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore… come i figli d’Israele portano l’offerta in vasi puri nel Tempio del Signore” (Is 66,20). È la vita che è chiamata a farsi dono a Dio e chi scopre la bontà e fedeltà del Signore, come un esule che torna inaspettatamente da un luogo estraneo e lontano, avverte che solo l’amore può manifestare al meglio quanto vive. Salvezza e amore camminano insieme: solo nell’amore possiamo scoprire la Salvezza del Signore e l’esperienza autentica di Salvezza apre all’amore verso chi la dona e verso gli altri.

Negli ultimi anni più volte sono state condivise riflessione sulle parole della consacrazione eucaristica, su quel “per tutti” che il latino ci fa leggere con “pro multis”, e l’attuale edizione del Messale ha mantenuto la traduzione che già utilizzavamo. Il “multis” latino non esplicita se l’Eucaristia sia “per molti” o “per i molti” in contraddizione al “per tutti”: volendo evitare ogni limitazione estranea al pensiero del Vangelo ecco allora che per noi italiani è rimasta la consueta traduzione. L’Eucaristia è davvero cibo di Salvezza per tutti tuttavia diventa pienamente porta accessibile all’incontro con il Signore e coi fratelli se accolta e celebrata con amore, con la vita e non come una pratica fredda e individualista. Entriamo per la porta della Messa di questa domenica accogliendo la Salvezza che viene dal Signore e viviamola offrendo noi stessi come “vasi puri” riempiti della nostra vita, delle nostre speranze e fatiche, delle nostre gioie e gratitudini, lasciando che il cuore si allarghi al mondo intero a partire dalle persone sedute accanto.

–  don Silvano, Casa Sant’Andrea

  • Con questa riflessione si chiude la mia collaborazione alla rubrica domenicale della pagina social #chiamalavita. Sperando, almeno in qualche occasione, di essere stato di aiuto per riconoscere la voce del Signore che sempre ci parla e ci chiama, ringrazio i lettori e tutti i collaboratori di questa pagina.